A centinaia, inferociti, sotto casa di Dragos-Ioan Gheormescu. Piano sequenza. A centinaia, in festa, sotto casa di Dragos-Ioan Gheormescu. La rabbia e il trionfo, l'urlo e l'applauso, l'animale e l'uomo. Nella storia di Tatiana c'è un passaggio che impressiona. È un'immagine laterale rispetto al mistero della scomparsa e alle indagini che dovranno chiarirne i contorni, ma che racconta quello che siamo o rischiamo di diventare quando anneghiamo nella "folla". Prima che si scoprisse che Tatiana era viva, quando ancora si temeva che la ragazza fosse vittima dell'ennesimo femminicidio, l'abitazione del 30enne è finita sotto assedio. Preparativi per un linciaggio, scene da una lapidazione, immagini da un altro mondo e un altro tempo ma in diretta da Nardò-Salento-Italia. I carabinieri sulla porta, a difendere il presunto assassino, e a ribadire che esiste la legge. La gente che preme, per forzare il cordone. Poi Tatiana è salva, la voce si sparge e il linciaggio diventa giubilo e abbracci. Quindi, la domanda: cosa siamo, quando non siamo soltanto noi? È l'"anima collettiva", la chiamava Gustave Le Bon. La mente comune in cui si uniformano le idee, scompare la logica e ci si abbandona alla violenza che l'individuo rifiuta, è la scappatoia dell'anonimato, il contagio degli istinti e il conforto della mediocrità. Vale a Nardò, ma vale anche nei cortei degli scontri, nelle curve degli stadi, vale nel branco e sui social, apoteosi della massa informe. È la piazza che è in noi - com'è vicino Gaber -, la terra di confine tra brutalità e condivisione. Ma Tatiana è viva, la folla fa festa, è andata bene. Per questa volta.